4° Congresso dei Democratici di Sinistra

Firenze - Mandela Forum – 19-21 aprile 2007

Intervento di Silvana Amati  

 

Un partito nuovo per un secolo nuovo. E’ questo che un numero vastissimo di  compagne e compagni ha scelto di costruire, riconoscendo in Piero Fassino il primo referente e garante del progetto.

 Urne per il voto segreto sulle mozioni si sono materializzate nelle quasi 7000 sezioni  consentendo  di dimostrare, con i 250.000 voti espressi, la vitalità, la forza, il radicamento, la capacità di misurarsi con il futuro dei democratici di sinistra.

Al di là di ogni aspettativa il nostro popolo ha risposto al confronto interno con una partecipazione non comparabile con altre esperienze di partiti italiani ed europei, dimostrando così a tutte e tutti che la scelta del nuovo non nasceva dai cosiddetti apparati, ma, era frutto della più vasta discussione possibile oggi.

Dobbiamo vantare questo risultato, sia per l’oggettività del suo valore, sia per evitare  che i tanti, troppi, che ne hanno letto la forza, tentino ingiustamente di ridimensionarlo, facendo prevalere ancora una volta le insidie dell’antipolitica.

Mi riferisco principalmente all’antipolitica  quale forma di populismo  di destra ma anche di sinistra (come sappiamo dalla storia e dalla cronaca, ne esiste anche una di sinistra),  che maschera, in maniera invasiva, attraverso l’informazione mediatica, le derive cesaristiche ed autoritarie finora  inesorabilmente  marginate, come a giugno quando è stato bocciato dal popolo il presidenzialismo assoluto della devolution.

Dopo tangentopoli abbiamo assistito ad  una vera e propria distorsione delle dinamiche politiche. Sono mutati i luoghi e le forme dell’agire collettivo.

Approfittando del vuoto di mediazione, scaturita dalla crisi della politica  è stato  teorizzato un nuovo sistema che andasse oltre i partiti, ipotizzando un nuovo modello di rappresentanza, che, scardinando i partiti, scardinasse la rappresentanza.

Ecco  che, con echi  anche insospettabili, si è lasciato intendere che la democrazia italiana per funzionare efficientemente avrebbe dovuto liberarsi  di un insopportabile diaframma costituzionale, i partiti politici, posto tra governati e governanti.

Ecco la personalizzazione della competizione elettorale con il crescente  peso della politica spettacolo, democrazia del “gradimento”, segnato dal ruolo egemone dei media e dalla progressiva  riduzione dei cittadini in teleutenti.

 Tutto ciò usando strumenti anche nuovissimi, ma soprattutto una tecnica vecchissima, quella mediatica denunciata già da Socrate, in quanto praticata contro di lui, in preparazione populistica del suo annientamento.

Non c’era ancora la televisione, ma come strumento mediatico era stata utilizzata la rappresentazione delle Nuvole di Aristofane alle Dionisie, un misto, per intendersi, tra Porta a porta e il festival di San Remo, dove erano state veicolate sugli spettatori falsificazioni sulla personalità e sulla filosofia di Socrate.

Con l’irrompere del pensiero debole, via via,   si è tentato  di sostituire quella che era stata la mediazione politica dei partiti con la immedesimazione istintiva e spontanea tra governanti e governati.

Nel nostro Paese nel  contempo il primato economico si è consolidato e la nozione costituente di popolo ha subito una trasformazione: da popolo plurale “organizzato in partiti” in una massa indistinta di “ individui, teleinformati, a cui, al contario, si sostiene, bisognerebbe dare voce”.

L’antipolitica ha tentato di  attenuare  nel popolo italiano il valore della sua originale identità costituzionale, della sua storia, del suo passato con il sistematico ridimensionamento del significato costituzionale dell’antifascismo, con l’introduzione strumentale del revisionismo storico, che, bisogna dire, è stato scandalosamente subito  senza reagire, anche da ampi settori della politica, cui spettava il dovere morale e storico di reagire.

In ricordo dell’ultimo impegno di  Dossetti, sceso in campo già nel 1994,  nella notte costituzionale berlusconiana,  voglio richiamare qui questi fatti e questi segnali, che non vanno sottovalutati soprattutto per i rischi di involuzione plebiscitaria del sistema, cui queste operazioni mirano.

Non c’è bisogno di citare Gustavo Zagrebelsky per capire come un “popolo senza tempo, con l’andar del tempo, dia luogo ad una democrazia della massa indistinta e perciò totalitaria”.

Se il privilegio per l’ideologia aveva caratterizzato la modernità,  antipolitica, materialità e populismo segnano la deriva insita  nella filosofia postmoderna, caratterizzata dall’indebolimento del pensiero e dal tramonto dei bagliori illuministici.

Ecco la fondante ragione  per cui  ci dobbiamo impegnare per un partito nuovo,  in un secolo nuovo.

Un partito di donne e uomini, strutturato e radicato nei territori, generoso con i giovani, non solo attivo nel momento elettorale, caratterizzato dalla cultura di governo dei suoi reppresentanti, un partito per battere l’antipolitica e rispondere alle vere esigenze delle persone.

Per un secolo nuovo.

Noi tutti qui siamo nati nel secolo scorso, e in quella cultura, in quella scuola, in quella università tutti ci siamo formati.

 Abbiamo coscienza dei limiti, delle contraddizioni, ma anche delle conquiste di quella cultura.

Sarà una sfida bella aprire e rinnovare,  non escludendo nessuno, ma includendo tutti quelli che con noi condividano la funzione storica che, con il partito democratico, vogliamo esercitare per realizzare la nostra rivoluzione democratica.

I tempi sono cambiati e noi, proprio in rispetto alla nostra storia e per l’idea della politica che abbiamo, ci poniamo il problema di governare ad  un livello più alto le nuove contraddizioni.

Serve una partecipazione democratica rafforzata, generatrice di programmi e leggi condivise,  che affrontino davvero e diano le risposte possibili  ai problemi minori e maggiori del nostro tempo.

Quando l’11 dicembre abbiamo riunito a Roma , sotto il simbolo dell’Ulivo, i rappresentanti delle città delle province, delle Regioni, sapevamo che quello era un livello essenziale di elaborazione  per la domanda di cambiamento che investe il Paese e che con esso bisogna saper rispondere unitariamente alle richieste delle persone, percorrendo la strada della innovazione, evitando le resistenze conservatrici, gli impulsi tecnocratici, le insidie della antipolitica.

La rete dei comuni è una risorsa, mai un problema, così come sono una risorsa le nostre province e le Regioni.

Lo sviluppo del Paese riparte dalle città, grandi e piccole, dalle comunità montane, dalle province, che insieme rappresentano una rete di relazioni, non un sistema separato di istituzioni locali.

Oggi si vive una fase complessa in cui i cittadini sentono il peso delle contraddizioni che la globalizzazione porta in casa nostra, anche nei caratteri più minuti e quotidiani.

La sicurezza, la casa, la questione dell’inquinamento, il tema del trasporto pubblico locale, gli investimenti per le reti infrastrutturali , si tengono insieme e prevedono una collaborazione positiva nella decisione tra Governo Centrale e Governi dei territori, primi referenti delle cittadine e dei cittadini.

Anche quando  a marzo abbiamo riunito le nostre amministratrici sapevamo di dare valore ad un livello essenziale di rete, quella delle buone pratiche di chi governa il territorio, attivate a dare risposte concrete alle tante domande di futuro del Paese.

Alla fine di maggio ci attende un importante appuntamento elettorale, tanti comuni, più di 800, e 8 province andranno al voto amministrativo.

Ecco un’altra occasione  per progettare città e province più attente alla questione ambientale, in un anno senza inverno che ci interroga sul futuro del pianeta, più inclusive con i nuovi cittadini, più pronte a costruire un nuovo modello di welfare, che guardi agli anziani come una risorsa, perchè nessuno si senta solo, sia lasciato solo.

Vogliamo città più a misura di bambini e di adolescenti, perché i loro diritti siano pieni dentro e fuori della famiglia.

Certo è con orgoglio che abbiamo potuto constatare che la campagna 2007 sui nidi e i servizi per l’infanzia del Partito del Socialismo Europeo è partita solo poco più di un mese fa da Roma con un incontro di lancio alla presenza di Poul Rasmussen, Piero Fassino e Anna Serafini.

In questi anni è cambiato il mondo ed anche il quadro su cui si è formata l’esperienza della sinistra.

Resta però il bisogno, l’anima del socialismo, di pensare un mondo diverso, più giusto, più umano, di lotta contro gli egoismi sociali e le discriminazioni di classe, di razza, di religione.

Dopo lo stop al governo, in aula, al Senato, sulla politica estera, è stata pubblicata dall’Unità una bella vignetta di Staino.

L’Italia affogava chiedendo aiuto ad un omino impettito, dritto su un sasso, con una bandierina.

“Non posso aiutati-diceva l’omino-debbo reggere la bandiera rossa”.

 Per quelli di noi che danno valore anche ai simboli è scontato che questi  resteranno nel cuore con le memorie e la lezione di quanti per essi hanno speso la vita.

Abbiamo scelto di costruire il partito nuovo proprio perché, orgogliosi della nostra storia e lontani dallo smarrire le antiche ragioni, vogliamo imprimere il segno della sinistra e dei suoi valori alla contemporaneità. 

Vogliamo impegnarci fino in fondo assieme a quanti come noi credono in questo grande Paese, protagonista in Europa e nella comunità internazionale.

Un grande Paese dove la Carta Costituzionale sia finalmente applicata, senza colpevoli reticenze,  dal diritto al lavoro, alla difesa dei diritti e delle opportunità per tutte e per tutti.

Sono convinta che il nuovo partito contribuirà in modo determinante a realizzare nel nuovo secolo il disegno dell’Assemblea costituente repubblicana: costruire uno Stato veramente al servizio dei cittadini.